Il carcere, in Italia, non è solo il luogo dove fare ammenda per i propri reati o, più semplicemente, scontare la pena.
Grazie all’impegno di molti operatori del settore, infatti, diversi sono i casi in cui all’interno delle strutture si provvede a mettere in atto strategie di vera e propria rieducazione, partecipazione alla vita di comunità e non solo in senso stretto, ossia legata alle “quattro mura”.
Spesso leggiamo di progetti che nascono proprio all’interno dei penitenziari per poi trovare la loro collocazione e utilità all’esterno, il tutto in una sinergia in cui le parti attive cooperano per produrre o migliorare beni, nell’interesse della collettività.
Così negli anni sono nati, sparsi in tutto il territorio, i laboratori più svariati, dalla lavorazione della ceramica a quelli che aiutano le aziende ospedaliere con il recupero delle protesi per i disabili.
Possiamo tranquillamente definirle delle “piccole imprese” e ragionare sul duplice senso della parola “impresa” là dove nel primo caso intende l’attività lavorativa classica e nel secondo si riferisce a un aspetto più ampio, sociale, in cui giocano un ruolo fondamentale il recupero della propria dignità che, in ogni paese civile, passa sempre attraverso il diritto al lavoro.
Tanto più che va a impattare sui pregiudizi in base ai quali i detenuti non avrebbero voglia di far nulla e questo non è vero, chi ha commesso un errore ha il diritto di porvi rimedio, gli va concessa una seconda chance insomma.
Il senso del carcere non è solo lo sconto della pena ma anche la possibilità di trasformare la propria vita.
Quindi, per esempio, imparare un mestiere e, perché no, scegliere anche di chiamare la propria piccola impresa, utilizzando l’ironia. Di qui “Banda Biscotti”, “Dolci evasioni”, “Lazzarelle”, “Sprigioniamo i sapori”.
L’accessorio prodotto invia un messaggio a chi lo acquista che parla di diritti umani, condivisione, giustizia, legalità. E, soprattutto, riscatto.