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Un tuffo nel passato a Bernalda (Matera), il paese di Francis Ford Coppola

di Camilla Isotti.

“Tradizione” è ciò che mi fa sentire italiana, quel senso di appartenenza, nonostante la globalità odierna che ci fa essere tutti cittadini del mondo. Perché anche chi non ha l’opportunità o la voglia di viaggiare, con Google Earth e i social (vedi Instagram tra tutti) può essere in ogni luogo, in qualsiasi istante, magari restando a casa, comodamente seduto sul proprio divano.

L’unicità dell’Italia e degli italiani cosmopoliti, resta l’attaccamento alle origini, alla “casa”, alla “terra” di appartenenza. Puoi vivere dall’altra parte del mondo, ma manterrai sempre il rispetto e nostalgia per i luoghi del cuore, dove la parola “casa” ha un senso profondo, che va oltre il suo significato testuale.

Casa è il profumo del giardino appena tagliato, l’aroma di caffè preparato nella moka, i raggi del tramonto di un sole color corallo, che come saette ti tagliano il viso, la tavola di legno colma di farina con cui la nonna preparava l’impasto dei biscotti in un amalgama di acqua, uova e tutto il suo amore.

Non so se questo senso di appartenenza sia caratteristica peculiare dell’Italia, ma dal momento che bisogna essere obiettivi quando si scrive, lo posso confermare, essendo io stessa, in particolare, di origine pugliese e inoltre, avendo avuto l’opportunità di visitare un piccolo borgo della Basilicata quest’estate, di nome “Bernalda”, in provincia di Matera, che mi ha dato prova esatta di tutto ciò.

Prime notizie del nome di Bernalda risalgono solo al XV secolo, quando Bernardino de Bernaudo, uomo di corte e affidato assistente del re Alfonso II d’Aragona, decise di spostare l’antico villaggio di Camarda nella zona dove adesso sorge il castello, simbolo della città.

Il castello domina la valle del Basento ed è ciò che emerge in modo dirompente mentre si risalgono le curve che portano alla cittadina, caratterizzate qua e là da vivaci piante di fichi d’india. Oggetto continuo di ristrutturazioni, ancora oggi sottoposto a restauro, presenta una pianta quadrangolare con torri angolari a forma cilindrica, d’impronta tardo-quattrocentesca, sebbene possa essere considerato il frutto di diverse stratificazioni architettoniche. La caratteristica di questo castello è di essere dotato di diversi cunicoli (uno dei quali raggiungeva la valle del Basento), oltre che di diversi pozzi acquiferi, precauzioni volute da Bernardino de Bernaudo per eventuali assedi. Si racconta che Bernaudo volle ridisegnare personalmente l’impianto urbanistico della città, impostando le strade secondo un insediamento che offrisse migliori garanzie di difesa. La storia racconta che vista la particolare dedizione nel costruire il nuovo centro abitato, il nome di Bernalda risalga proprio a lui.

Per la nuova città fu scelto come protettore San Bernardino da Siena, per il quale ogni anno, da 150, si festeggia la festa di agosto.

La Chiesa Madre di San Bernardino, edificata di fronte al castello tra il 1510 e il 1532 circa, toglie il fiato per la genuinità con cui domina la piazza antistante. Io l’ho osservata di sera, dirompere nel blu della notte per il tramite di una bellissima luminaria posta in occasione della festa del Santo Patrono, al termine dei fuochi d’artificio organizzati per il corteo storico di agosto, espressione dell’identità di un’intera comunità, un mix di sacro e profano, in cui abitanti originari del posto rientrano persino dall’America per poter assistere ogni anno ed emozionarsi ogni volta come la prima.

Immaginate, quindi, una piccola città, di solito immersa in un silenzio distensivo, un balsamo quasi per la vita frenetica quotidiana, come appaia in fermento a partire dai preparativi con la sistemazione al mattino presto delle variopinte bancarelle ricolme di caramelle gommose e zucchero filato, di oggettistica di ogni sorta, musica a tutto volume e luminarie giganti con disegni floreali, come esploda entusiasta nel corso della festa vera e propria.

Occorre ringraziare la Pro Loco di Bernalda con il suo progetto culturale “Terra Bernaudi”, avviato nel 2016 e di durata triennale, per la presenza di figuranti bernaldesi doc, tutti uniti dalla stessa passione per il Santo e per la città. Il progetto, suddiviso in tre diverse sezioni, consiste nel rappresentare alcuni dei principali momenti storici della comunità. I bernaldesi, i lucani e i numerosi turisti pervenuti da ogni luogo d’Italia e del mondo, dopo avere ammirato l’anno scorso la rappresentazione dell’acquisizione del feudo di Camarata da parte di Bernardino de Bernaudo, quest’anno hanno potuto assistere alla raffigurazione del periodo dei Duchi Perez-Navarrete di Laterza, appartenenti alla stirpe degli Acquaviva D’Aragona, che intorno alla seconda metà del XVII secolo acquisirono i territori di Bernalda, riscattandoli dal regio fisco che fino ad allora ne deteneva il possesso a causa del forte indebitamento della famiglia de Bernaudo.

Per il secondo anno, il corteo storico ha potuto vantare di un incremento di presenze e al già numeroso gruppo di figuranti si sono unite tre nuove compagnie formate da musici, sbandieratori e balestrieri, tutte “made in Bernalda”. La sfilata dei figuranti è stata affascinante, essendo rappresentata da cavalieri in abiti d’epoca, dame composte ed elegantissime, sbandieratori che con le loro splendide coreografie hanno contribuito al ritmo di tamburi a creare un’atmosfera medievale molto suggestiva.

Potete comprendere, quindi, come sia stato meraviglioso poter godere della vista della Chiesa Madre in assoluto silenzio, dopo tutti i suoni della festa, considerato che durante il corteo c’è stata anche la tradizionale serie di spari tonanti degli archibugieri di Cava De’ Tirreni, come congedo dall’Autorità e dal popolo.

Occorre raccontare l’origine di questo corteo di agosto. Nel 1866 in Italia si era diffusa una pandemia di colera, che infieriva in maniera violenta, specie nelle regioni meridionali. Anche a Bernalda il terribile morbo stava decimando la popolazione che, memore di quanto già accaduto in occasione della peste del 1656, pensò di ricorrere al suo Protettore San Bernardino nel tentativo di limitare la catastrofe. Pertanto, l’impavido popolo bernaldese, sfidando il rischio di un’ulteriore estensione del contagio, decise di portare il Santo Patrono in processione per il paese. Quello che accadde è stato fedelmente tramandato di padre in figlio e di generazione in generazione: all’indomani della processione, un violento temporale spazzò via il morbo letale e i bernaldesi, a memoria del fatto, vollero lasciare un segno che andasse oltre le tradizionali preghiere di ringraziamento, dedicando al Santo Patrono una seconda festa (oltre quella del 20 maggio, per l’anniversario della sua morte) il 23 agosto, in ricordo del miracolo.

Assistere all’evento significa essere testimoni dell’autentica devozione, della passione e amore che sono radicati nella cultura della comunità bernaldese. E quando passa la statua di San Bernardino, condotta su una carrozza addobbata, si percepisce nell’aria l’emozione dei cittadini, quasi fosse la prima volta, così come quella dei turisti a bocca aperta colpiti da tanta devozione.

Bernalda è diventata più nota nel corso del tempo grazie anche al regista Francis Ford Coppola, originario del posto, che ha deciso, a proposito di senso di “appartenenza” nonostante la sua cittadinanza americana, di tornare ogni estate nel Paese natio e di ristrutturare un bellissimo palazzo per farne un resort di lusso. Palazzo Margherita, sul sito della famiglia Coppola, viene definito dallo stesso regista “a dream come true”, un sogno divenuto realtà.

L’accesso a Palazzo Margherita, dotato anche di una bella piscina, è consentito solo ai clienti, ma in compenso sono riuscita a prendere un aperitivo al Bar Cinecittà, dove si possono ammirare le foto di star hollywoodiane con cui ha lavorato Coppola e si può gustare anche un’ottima pizza, scegliendo la musica che si preferisce tramite un jukebox, in un’atmosfera vintage e cinematografica. Il regista, inoltre, a proposito di Bernalda dice che le persone del luogo offrono un’ospitalità genuina che fa sentire ogni visitatore più come un amico e un vicino di casa, che come un turista, e chi visita Bernalda non resiste a tornare. (The townspeople offer a genuine hospitality that makes every visitor feel more like a friend or neighbor than a tourist. It is said that anyone who visits Bernalda cannot resist returning).

Io sono totalmente d’accordo, anche perché, golosa come sono, ho trovato un dolce tipico davvero eccezionale, la cosiddetta Scorzetta, un dolce semplicissimo che prende il nome dalla corteccia dell’albero, che in dialetto bernaldese si pronuncia testualmente “a scorz’ d’ l’arvl”.

Mi raccomando però, durante la festa consiglio di ordinarle in anticipo al Caffè del Corso, storico bar sul Corso Umberto, altrimenti non ne troverete neppure una! Per tutelare l’originalità del dolce, Vincenzo Spinelli, titolare del bar Pasticceria del Corso e ideatore della ricetta (top secret) nel 1977, ha registrato la Scorzetta presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi del Ministero dello Sviluppo Economico Direzione Generale per la lotta alla contraffazione.

Un’altra caratteristica della città è la carne che si può gustare direttamente in macelleria, ebbene sì, si sceglie e viene cucinata e si può mangiare sul posto, essendo i locali attrezzati con tavoli e sedie.

Se volete provare un ottimo ristorante di carne consiglio il Barbacoa in Via Cairoli, gestito divinamente da due fratelli gemelli, oppure la Locandiera sul Corso Umberto, un locale storico, che vi presenterà le squisite pietanze lucane in modo originale ed elegante, dove stile e gusto si fondono armonicamente.

A distanza di oltre centocinquant’anni, i bernaldesi testimoniano una grande appartenenza alla loro città e alle loro tradizioni. Il calore che ho assaporato durante i giorni della festa, mi ha confermato come l’appartenenza sia più forte di ogni distanza, che le origini sono per gli italiani, ovunque nel mondo, qualcosa che va oltre, che c’è sempre un filo che ci lega a “casa” e che attraverso queste feste patronali si celebrano le tradizioni con entusiasmo, proprio perché sono ciò che ci unisce alla nostra storia, a quella dei nostri padri e se siamo ciò che siamo è anche grazie a loro.

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