Il nuovo rapporto Unicef – nell’ambito della serie “Child Alert”- ha un titolo più che eloquente: “Un viaggio fatale per i bambini: la rotta migratoria del Mediterraneo centrale”. Il suo contenuto è a dir poco straziante perché denuncia fatti gravissimi accaduti l’anno scorso, a cominciare da un numero, 4.579, che sono le persone morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo dalla Libia, praticamente una persona su quaranta. Tra quelle che hanno perso la vita 700, secondo Unicef, sarebbero bambini.
Ma c’è di più nel rapporto, e ha a che fare con le violenze sessuali, lo sfruttamento, gli abusi e la detenzione subiti da bambini e donne, sempre durante la rotta del Mediterraneo Centrale, precisamente dal Nord Africa all’Italia. Si legge infatti nel rapporto: «I tre quarti dei bambini rifugiati e migranti intervistati per una ricerca hanno dichiarato di aver subito violenze, molestie o aggressioni per mano di adulti durante il viaggio, mentre circa la metà delle donne e dei bambini intervistati hanno dichiarato di aver subito abusi sessuali durante la migrazione, spesso più volte e in diversi punti lungo il viaggio. La maggior parte dei bambini ha denunciato di aver subito abusi verbali o psicologici, mentre circa la metà di loro ha subito percosse o altri abusi fisici. Fra le ragazze si è registrata una maggiore incidenza degli abusi rispetto ai ragazzi».
È stato lo stesso direttore regionale e coordinatore speciale dell’Unicef per la crisi dei rifugiati e dei migranti in Europa, Afshan Khan, a mettere in evidenza come, fra tutte, la rotta più pericolosa per i rifugiati sia proprio quella che porta in Italia o comunque sulle coste del Mediterraneo. Pullulano i trafficanti, figuri senza scrupoli che guardano a donne e bambini come prede facili per i loro loschi affari. Ragioni più che sufficienti, aggiunge Afshan Khan, per mettere in piedi piani di sicurezza controllati e legali, per evitare che la stessa sorte tocchi ad altri esseri umani.
Il rapporto Unicef dà alcuni dati a proposito dei minori ma sottolinea subito come la realtà potrebbe essere peggiore, il che vuol dire che «i dati reali potrebbero essere tre volte più alti»: gli osservatori dell’Organizzazione parlano di 256.000 migranti registrati in Libia, di cui 30.803 donne e 23.102 bambini, un terzo dei quali non risultava accompagnato. Se triplichiamo questi numeri la situazione diviene drammatica. Le donne e i minori in fuga sono stati ascoltati e la maggioranza di loro ha dichiarato di aver «pagato i trafficanti all’inizio del viaggio, rimanendo in molti in debito sotto la formula del “pay as you go” (pagare per partire) ed esposti pertanto ad abuso, rapimento e tratta». Gravi testimonianze che si sommano ad altre denunce che informano di «condizioni sovraffollate e molto dure nei centri di detenzione in Libia – sia in quelli gestiti dal Governo sia in quelli gestiti da milizie armate – che comprendevano la mancanza di cibo nutriente e di rifugi adeguati».
Così tuona Khan: «I bambini non dovrebbero essere costretti a mettere le proprie vite nelle mani di trafficanti semplicemente perché non hanno alternative, noi dobbiamo individuare a livello globale i fattori all’origine della migrazione e lavorare insieme per un solido sistema di passaggi sicuri e legali per i bambini in movimento, siano essi rifugiati o migranti».
Come ci ha abituato l’Unicef nei suoi rapporti, una volta esposto il problema, viene proposta la soluzione che in questo caso consiste in 6 azioni per proteggere i bambini. Pertanto l’Organizzazione chiede ai Governi un impegno importante per la loro tutela, in modo particolare per i tanti che viaggiano non accompagnati affinché non si verifichino più casi di sfruttamento e violenza. L’Unicef chiede anche di abolire la detenzione dei minori richiedenti lo status di rifugiato o migranti, preferendo alternative migliori come quella di tenere unite le famiglie, un modo più che valido di garantire maggiore protezione e conferire loro il riconoscimento di uno status legale. Inoltre, viene chiesto di comprendere i bambini in programmi validi di istruzione e di servizi sanitari degni di questo nome e, allo stesso tempo, è sottolineata la necessità di delineare interventi e azioni a partire dalle cause che determinano movimenti di massa di rifugiati e migranti.
L’Unicef domanda infine misure concrete per combattere la dilagante xenofobia, le discriminazioni nei Paesi sia di transito che di destinazione.
In conclusione – e questo non lo chiede l’Unicef ma la società civile tutta – c’è da prendere seriamente in considerazione quanto dice un’organizzazione che da sempre è in prima linea per difendere i diritti dei bambini nel mondo, con apparati, operatori, professionisti del settore qualificatissimi. A sostegno di questa tesi, un numero: 182.500. Sono i bambini rifugiati e migranti assistiti dall’Unicef fino a questo momento, mentre già ci si sta muovendo concretamente per allargare il programma nel Mediterraneo – in Grecia e in Italia – dando un significativo aiuto ai Governi di entrambi i Paesi.