Torniamo sul tema dell’usura proponendo la seconda parte dell’introduzione di Gian Maria Fara al Rapporto Eurispes 2016 Usura: quando il credito è “in nero”. Ricordiamo che la prima parte, dedicata ad un excursus storico sull’usura, è stata pubblicata venerdì scorso (leggi l’articolo).
Oggi, parlare di usura comporta anche ricordare che le organizzazioni criminali hanno ben compreso che l’usura rappresenta un metodo di straordinaria efficacia: da un lato per riciclare denaro sporco e ottenere facilmente ingenti guadagni, dall’altro per impossessarsi di quelle imprese e attività che non sono in grado di far fronte ai debiti contratti, divenendo dapprima soci e in seguito veri e propri proprietari. Tutto questo con rischi più contenuti rispetto a quelli connessi ad altre attività illecite come il traffico di stupefacenti.
Anche in questo modo le organizzazioni mafiose, cui non manca mai un’immediata liquidità, sono penetrate sempre più nell’economia legale, subentrando ad imprenditori in difficoltà economica fiaccati dalla crisi degli ultimi anni. L’obiettivo, sempre più spesso, non è tanto nell’incasso degli interessi quanto proprio nell’impadronirsi degli esercizi commerciali, penetrando così in modo violento nel tessuto economico locale, con una perversa e spietata logica “imprenditoriale”. E con l’obiettivo ultimo (ancora lontano ma chiaramente perseguito) di creare situazioni di monopolio, per di più caratterizzate da assenza di relazioni sindacali e possibilità di ricorrere alla forza, per “convincere” che stare con la mafia conviene.
Occorre però osservare come i soggetti più esposti cadano oggi nelle mani di un numero sempre maggiore di nuovi sfruttatori, non solo criminali e mafiosi ma anche “insospettabili”: negozianti, commercialisti, avvocati, dipendenti pubblici, che sfruttano la crisi economica e l’indebitamento di famiglie, commercianti ed imprenditori per arricchirsi, forti delle crescenti difficoltà di accesso al credito bancario. Ed è nata una nuova figura: quella dell’usuraio della stanza accanto.
In agricoltura, i principali reati che vengono attribuiti alle associazioni mafiose vanno dai comuni furti di attrezzature e mezzi agricoli all’abigeato, dalle macellazioni clandestine al danneggiamento delle colture, dall’usura al racket estorsivo, dall’abusivismo edilizio al saccheggio del patrimonio boschivo, per finire alle contraffazioni, al caporalato e alle truffe consumate a danno dell’Unione europea.
Le agromafie operano nei territori ormai non più solo meridionali, consolidando le loro attività illecite, trovando un forte alimento nelle difficoltà in cui si trovano le imprese agricole sempre più esposte agli effetti devastanti della scarsa disponibilità di soddisfacenti risorse finanziarie. Così accade che le possibilità di investimento nelle campagne decrescano miseramente e, nello stesso tempo, l’accesso al credito bancario risulti essere difficoltoso anche per il costo molto elevato del denaro. Il bisogno di credito immediato spinge inevitabilmente gli imprenditori agricoli a trovare nuove forme di finanziamento.
Inoltre, le associazioni criminali, attraverso le suddette pratiche estorsive, finiscono per determinare l’aumento dei prezzi dei beni al consumo. Così la mafia riafferma il proprio ruolo di industria della protezione-estorsione che aveva fin dalle origini, assumendo di fatto il controllo economico dell’impresa e dell’imprenditore.
Il fenomeno criminale mafioso assume connotati sempre più evidenti di minaccia e di sfida ai valori civili e alle regole di libero mercato: di fatto, la progressiva diffusione delle agromafie si traduce in una perdita di sicurezza sociale del cittadino e in un impoverimento dell’economia dei territori.
La mafia – soprattutto dove e quando sia colpita da inchieste che ne disarticolano pesantemente alcune componenti – sceglie un comportamento “di tregua” che possa, fra l’altro, far scendere su di sé un cono d’ombra e rendere meno individuabile la sua organizzazione. In quest’ottica, seleziona le sue attività privilegiando quelle che consentono il massimo vantaggio col minor rischio e tra queste vi è certamente l’usura, attraverso la quale si perpetua un sistema di assoggettamento silenzioso quanto efficace. Le imprese agricole – in particolare – ricorrono all’usura quando devono acquistare un nuovo trattore o altri macchinari, costruire o ristrutturare serre e capannoni, far fronte ad annate nelle quali il raccolto è stato inferiore alle aspettative. E ultimo, ma non ultimo, far fronte ad una pressione fiscale e contributiva troppo ingiusta e pesante.
All’interno dell’indagine abbiamo prodotto una stima di carattere generale sul giro d’affari dell’usura suddividendo in tre grandi categorie la platea interessata e colpita dal fenomeno: le famiglie, le attività commerciali, il settore agricolo.
Secondo i nostri calcoli, estremamente prudenziali e largamente approssimativi per difetto, le famiglie sono esposte per 30 miliardi di euro richiesti e 66 restituiti; le imprese del settore del commercio e dei servizi sono esposte per 5 miliardi di euro richiesti e 11 restituiti; le imprese agricole per 2,25 miliardi di euro e 4,95 restituiti, per un totale complessivo di 81,95 miliardi ovvero l’equivalente di 5,5 circa punti di Pil. Nello stesso tempo, abbiamo messo a punto una mappa dell’usura nel nostro Paese che ha dato luogo ad una chiara rappresentazione del rischio della diffusione del fenomeno che interessa ormai, sia pure con diversa intensità, tutto il territorio nazionale.
Sul tema, ormai da anni, sono impegnate le associazioni antiusura, i movimenti di difesa dei cittadini, la Chiesa con tutte le sue articolazioni territoriali, i movimenti di volontariato e naturalmente le Istituzioni attraverso il fondo antiusura e l’attività incessante della Magistratura e delle Forze dell’ordine che svolgono una efficace azione di contrasto e repressione. Tuttavia, gli sforzi, per quanto nobili ed efficaci, devono confrontarsi con un fenomeno talmente ampio e pervasivo per cui si ha spesso la sensazione di dover prosciugare il mare con un secchiello.
Si tratta, evidentemente, di un problema di grande complessità che postula un approccio multidisciplinare che preveda, insieme alla repressione, un forte impegno sul fronte della prevenzione e quindi culturale. Ma, soprattutto, almeno per quel che riguarda le aziende e le attività commerciali e produttive, la individuazione di forme più flessibili e personalizzate di accesso al credito ufficiale che sottraggano, nei momenti di difficoltà, gli operatori economici alle insidie di un credito solo apparentemente facile ma funesto in sostanza.
Gian Maria Fara, presidente Eurispes