L’ultimo numero di Impresa Sociale (n. 6 dicembre 2015) propone, tra gli altri, un interessante saggio di Stefano Zamagni, Paolo Venturi e Sara Rago sulla misurazione dell’impatto sociale nelle imprese sociali (Valutare l’impatto sociale. La questione della misurazione nelle imprese sociali).
Si può sostenere che la questione, nei suoi termini generali, rientri nella più ampia riflessione sull’impegno di accountability delle “imprese responsabili”. Tuttavia l’originalità del contributo è evidente almeno per tre aspetti: il campo di applicazione preso in considerazione (Terzo settore e imprese sociali); il riferimento alle trasformazioni in atto nel contesto normativo (Riforma del Terzo settore); la nuova metodologia di misurazione proposta.
Sul primo aspetto è sufficiente ricordare che il Ministero dello Sviluppo economico solo recentemente ha definito una nuova procedura per il riconoscimento dei requisiti di startup innovativa a valenza sociale, ai sensi dell’art. 25 comma 4 della Legge 221/2012, attraverso la redazione del “Documento di Descrizione dell’Impatto Sociale” (si veda in proposito la Guida per startup innovative a vocazione sociale alla redazione del “Documento di Descrizione dell’Impatto Sociale” – 21 gennaio 2015 – Ministero dello sviluppo economico Segreteria tecnica del Ministro).
Sul secondo aspetto gli autori ci ricordano come la valutazione d’impatto sociale entri in gioco in primo luogo per fornire legittimazione alla scelta del legislatore di impegnare le imprese sociali nella co-progettazione dei servizi e, in secondo luogo, per riservare a dette imprese particolari modalità di affidamento dei servizi stessi. Inoltre la valutazione di impatto sociale è collegata alle funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Last but not least, ci permettiamo di sottolineare che l’assoggettamento alle procedure di misurazione dell’impatto sociale fornisce buoni argomenti per l’eventuale concessione di benefici di natura fiscale.
Sul terzo aspetto invitiamo alla lettura del saggio che, dopo un’ampia panoramica degli studi e dei modelli elaborati a livello internazionale, si cimenta con la costruzione di un’originale griglia di valutazione dell’impatto delle imprese sociali. Possiamo solo anticipare che gli indicatori (52 in totale) si riferiscono a 7 “dimensioni oggetto di valutazione”: 1. Sostenibilità economica (sottodimensioni: 1.1 capacità di generare valore aggiunto economico, 1.2 attivazione di risorse economiche); 2. Promozione di imprenditorialità (2.1 propensione al rischio, 2.2 creatività e innovazione, 2.3 “ars combinatoria”); 3. Democraticità e inclusività della governance (creazione di governance multistakeholder); 4. Partecipazione dei lavoratori (4.1 coinvolgimento dei lavoratori); 5. Resilienza occupazionale (5.1 capacità di generare occupazione, 5.2 capacità di mantenere occupazione); 6. Relazione con la comunità e il territorio (6.1 attività di anmazione della comunità, 6.2 attivazione di strumenti e strategie di accountability, 6.3 attività di conservazione e tutela dell’ambiente e del patrimonio); 7. Conseguenze sulle politiche pubbliche (7.1 risparmio della spesa pubblica, 7.2 rapporti con altre istituzioni pubbliche e private).
Proponiamo di seguito il testo dell’introduzione del saggio, rinviando al seguente link la consultazione del testo integrale
Introduzione
La necessità di soffermarsi sul tema dell’impatto sociale generato dalle imprese sociali nasce dalla fase di passaggio che il Terzo settore italiano sta attraversando e che si lega inevitabilmente alla transizione da un modello di welfare state ad uno di welfare society (o “civile”), due sistemi di welfare che si basano su altrettanti principi. Da un lato, quello di redistribuzione, in cui lo Stato preleva dai cittadini risorse tramite la tassazione e le redistribuisce attraverso il sistema di welfare; dall’altro, il principio di sussidiarietà circolare in cui i cittadini sono coinvolti nel processo di pianificazione e di produzione dei servizi (coproduzione), che supera la dicotomia pubblico-privato (ovvero Stato-mercato) aggiungendovi una terza dimensione, quella del civile.
Anche il Terzo settore – in quanto parte fondamentale del rinnovato modello di welfare – subisce una metamorfosi, passando dall’essere redistributivo a produttivo. Nel primo modello le risorse erano di natura per lo più pubblica e pertanto lo Stato rimaneva titolare della progettazione dei servizi sociali. Nell’ultimo ventennio, tuttavia, ha preso avvio un mutamento in tal senso che incide sia sulle fonti delle risorse per il Terzo settore (sempre più orientato al mercato e con crescenti rapporti con gli istituti di credito), sia sulla conseguente necessità di implementare metodologie e strumenti per la valutazione dell’impatto sociale del loro operato sulle comunità di riferimento, superando le difficoltà tipiche di questi soggetti nell’individuare risorse umane ed economiche da dedicare a tal fine (OECD, 2015).
Come sostengono Perrini e Vurro (Perrini, Vurro, 2013), infatti, “alla progressiva contrazione delle risorse pubbliche e private a disposizione di progetti a valenza sociale, si è affiancata la necessità di ottimizzare i processi di allocazione delle risorse verso imprenditori, iniziative e organizzazioni che fossero in grado di comprovare con trasparenza e oggettività, l’efficacia dei propri modelli d’intervento a sostegno di problemi sociali complessi nei diversi ambiti tipicamente ascritti al Terzo settore”.
“Valutare” significa “dare valore” e non meramente misurare e giudicare. Se nella logica precedente era sufficiente controllare la trasparenza e rendicontare attraverso opportuni documenti, oggi è il Terzo settore stesso a dovere individuare una metrica sufficientemente precisa e saggia tale da garantire il rispetto dell’identità dell’impresa sociale. Una metrica che superi le logiche di misurazione strettamente legate al mondo capitalistico, che tralasciano aspetti definitori e fondamentali del Terzo settore (quali, ad esempio, il grado di democraticità interna), e che sia in grado di valorizzare gli elementi e i percorsi di innovazione sociale di cui le imprese sociali si fanno portatrici nei mezzi e nei fini del loro agire.
La questione della valutazione dell’impatto sociale, inoltre, si lega anche alla necessità di trovare una risposta italiana all’orientamento in materia dettato a livello europeo (CESE, 2013), che prevede che l’obiettivo della misurazione dell’impatto sociale sia “misurare gli effetti sociali e l’impatto sulla società determinati da specifiche attività di un’impresa sociale” e che “qualsiasi metodo di misurazione va elaborato a partire dai risultati principali ottenuti dall’impresa sociale, deve favorirne le attività, essere proporzionato e non deve ostacolare l’innovazione sociale. Il metodo dovrebbe prefiggersi di trovare un equilibrio tra dati qualitativi e quantitativi, nella consapevolezza che la ‘narrazione’ è centrale per misurare il successo”.
Proprio perché “conseguire un impatto sociale positivo rappresenta l’obiettivo fondamentale di un’impresa sociale ed è spesso parte integrante e una componente permanente della sua attività” (CESE, 2013), anche la Riforma del Terzo settore italiano, il cui iter è attualmente in corso, si concentra fortemente su questo tema, ricollocandolo al centro del dibatto su più fronti.
Da un lato il concetto di impatto sociale si lega al tema delle modalità di affidamento dei servizi sociali ai soggetti del Terzo settore. La previsione contenuta nel Disegno di Legge, infatti, intende “valorizzare il ruolo degli enti nella fase di programmazione, a livello territoriale, relativa anche al sistema integrato di interventi e servizi socio-assistenziali nonché di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale e individuare criteri e modalità per l’affidamento agli enti dei servizi d’interesse generale, improntati al rispetto di standard di qualità e impatto sociale del servizio, obiettività, trasparenza e semplificazione, nonché criteri e modalità per la valutazione dei risultati ottenuti” (Governo Italiano, 2015 – art. 4, comma 1, lettera m).
Altresì il tema dell’impatto sociale è collegato alle funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sarà titolato a svolgere secondo le previsioni contenute nel Disegno di Legge: “Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentiti gli organismi maggiormente rappresentativi del Terzo settore, predispone linee guida in materia di bilancio sociale e di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del Terzo settore, anche in attuazione di quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, lettera m). Per valutazione dell’impatto sociale si intende la valutazione qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato” (ibidem – art. 7, comma 3).
Al contempo, anche i benefici in termini di misure fiscali e di sostegno economico agli enti non commerciali contenuti nella Delega per la Riforma del Terzo settore saranno ponderati rispetto all’evidenza in termini di impatto sociale delle attività svolte: “definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall’ente e introduzione di un regime tributario di vantaggio che tenga conto delle finalità solidaristiche e di utilità sociale dell’ente, del divieto di ripartizione, anche in forma indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e dell’impatto sociale delle attività svolte dall’ente” (ibidem – art. 9, comma 1, lettera a).
Infine, la stessa definizione della qualifica di impresa sociale, riformulata all’interno del Disegno di Legge, si lega alla produzione di impatti sociali positivi conseguiti attraverso la produzione o lo scambio di beni e servizi di utilità sociale. Cioè a dire che l’impresa sociale è oggi chiamata a dare evidenza dell’impatto da essa generato anche in virtù della possibilità di essere beneficiari di strumenti di finanza ad impatto sociale (social impact investment) (Social Impact Investment Task Force, 2014a). L’impatto sociale all’interno del mondo della finanza sociale viene, infatti, definito come “cambiamenti significativi, sia previsti che non, delle condizioni di benessere delle comunità, indotti dall’allocazione del capitale di investimento sociale, che va al di là di ciò che ci si sarebbe aspettati che accadesse” (Nicholls et al., 2015).
Mai come oggi, quindi, il “terreno” su cui poggia l’impatto sociale delle imprese sociali risulta essere “fertile” e richiede che venga avviato un percorso in grado di dare valore all’operato di tali soggetti.