Dieci giorni fa Non fermiamo la riforma. Rapporto 2016 della Caritas sulle politiche contro la povertà in Italia; ieri, in occasione della giornata internazionale contro la povertà, viene presentato il Rapporto 2016 di Caritas Italiana su povertà ed esclusione sociale dal titolo “Vasi comunicanti”.
“L’immagine dei vasi comunicanti assume per noi un carattere ambivalente: aiuta a leggere il reale o meglio i nessi, frequentemente trascurati, che esistono oggi tra povertà, emergenze internazionali, guerre ed emigrazioni; al tempo stesso vuole essere l’auspicio per un futuro in cui le disuguaglianze socio-economiche, alla base dei movimenti migratori, possano annullarsi favorendo un maggiore e più equo livello di benessere per tutti”.
Mentre il mondo è ormai fatto di “vasi comunicanti”, facciamo ancora fatica a comprendere e fare nostra questa profonda trasformazione, abbiamo ancora troppe difficoltà ad affermare uno “sguardo cosmopolita”, come invece suggeriscono Zygmunt Bauman e Urlick Beck. Il rischio più immediato è che vada in frantumi il “sogno europeo” dei padri fondatori, di cui, tuttavia, ci ha reso consapevoli il sociologo americano Jeremy Rifkin.
Se questa tendenza dovesse prendere il sopravvento non perderemmo solo quella dimensione sovranazionale faticosamente costruita, che è stata in grado di assicurarci oltre 70 anni di pace; andrebbe in fumo l’identità profonda dell’europeismo rappresentata dalla cultura dell’accoglienza, dell’asilo, della solidarietà e della giustizia sociale.
Il Rapporto Caritas 2016 si misura con queste problematiche, nella convinzione che la dimensione della lotta alla povertà è diventata internazionale e deve fare i conti con i mille conflitti che interessano tante aree del mondo, con cambiamenti climatici e carestie, con le grandi migrazioni che non sono altro che l’effetto di tutto questo.
E tuttavia, anche in questo caso, Caritas ricorda con le parole di papa Francesco che le politiche giuste sono “incentrate sui volti più che sui numeri” e che dobbiamo caparbiamente riuscire a tenere insieme le grandi problematiche planetarie con l’accoglienza e la cura di ciascuna singola persona che in questo momento ha bisogno di aiuto.
Di seguito l’introduzione del Rapporto curata da don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana; tra una settimana l’esame puntuale dei dati presentati nella ricerca.
Introduzione di don Francesco Soddu
Il Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia (e alle porte dell’Europa) nella sua edizione del 2016, si colloca in una particolare congiuntura storico-sociale. I numeri ci raccontano di una vicenda umana senza precedenti con milioni di donne, uomini e bambini in fuga da guerre, persecuzioni, povertà estreme. Il 2015 ha segnato un record in tal senso, con un movimento di oltre 65 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case e a rifugiarsi altrove in cerca di protezione e sicurezza. Anche l’Europa ha assistito a un drammatico aumento del numero dei rifugiati arrivati via mare. Centinaia di migliaia di persone che si sono avventurate in viaggi rischiosissimi, facendo registrare anche un incremento esponenziale delle vittime. Questi anni, tuttavia, non saranno solo ricordati per l’elevato numero di profughi, sfollati e morti nelle traversate, ma anche per l’incredibile debolezza ed egoismo che molti paesi europei hanno dimostrato nell’affrontare quella che si è rivelata una vera e propria emergenza umanitaria. La politica europea è risultata frammentata, disunita e per molti aspetti inadeguata. Le immagini di muri e fili spinati sono ancora nitide e attuali e stridono con gli ideali ed i principi del grande “sogno europeo”, quello di un continente senza più confini, aperto al libero scambio di persone e merci. Numerosi gli esempi che si possono fare in tal senso, più o meno vicini: i casi di barriere metalliche di filo spinato costruite per lo più lungo la rotta balcanica, tra Ungheria e Serbia, tra Ungheria e Croazia, tra Macedonia e Grecia o tra Slovenia e Croazia; il forte inasprimento dei controlli alle frontiere tra il Marocco e l’enclave spagnola di Melilla, al Brennero tra Italia e Austria, a Ventimiglia tra l’Italia e la Francia; o ancora la chiusura di alcuni paesi (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) rispetto a qualsiasi forma di accoglienza. È recente la notizia di un nuovo muro in cemento armato che verrà eretto a Calais, finanziato dal governo britannico per contrastare l’attraversamento della Manica da parte dei profughi giunti sul territorio francese. “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà?” chiede il Santo Padre in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno 2016, riconoscendo un continente che si va “trincerando” su sé stesso, atto a proteggere spazi, invece di “essere madre generatrice di processi”. Ben distanti appaiono anche quei valori “di tolleranza, di non discriminazione, di giustizia, uguaglianza e solidarietà” sanciti dai trattati fondativi dell’Unione Europea.
È dunque in questo delicato momento storico ricco di insidie e in cui in tutto il continente sembra riemergere la paura del diverso, che Caritas Italiana ha deciso di affrontare il tema della povertà in Italia allargando il proprio sguardo oltre i confini nazionali, cercando di descrivere le forti interconnessioni che esistono tra la situazione italiana e quel che accade alle sue porte. L’immagine dei vasi comunicanti assume per noi un carattere ambivalente: aiuta a leggere il reale o meglio i nessi, frequentemente trascurati, che esistono oggi tra povertà, emergenze internazionali, guerre ed emigrazioni; al tempo stesso vuole essere l’auspicio per un futuro in cui le disuguaglianze socio-economiche, alla base dei movimenti migratori, possano annullarsi favorendo un maggiore e più equo livello di benessere per tutti. Nel rapporto pertanto si riportano numerosi zoom di approfondimento di taglio internazionale (prodotti anche da altri organismi e Caritas europee) per favorire una maggiore conoscenza dei processi in atto. Come afferma il sociologo Zygmunt Bauman – riprendendo le posizioni del suo collega Urlick Beck – “viviamo in una condizione cosmopolita di interdipendenza e scambio a livello planetario ma non abbiamo ancora iniziato a svilupparne una piena consapevolezza”. È proprio nella logica di favorire la nascita di uno “sguardo cosmopolita” (Beck, 2005) che nel rapporto si sollecitano ampie riflessioni sulle cause che sono all’origine delle migrazioni forzate, sulle situazioni di tratta, sfruttamento e violenza in molti contesti bellici o postbellici, o ancora sulle rotte percorse e i terribili viaggi affrontati dagli immigrati.
Accanto a tutto ciò si propone, come di consueto, un ampio approfondimento sulla situazione italiana, coscienti del fatto che in una società in cui si registrano alti livelli di incertezza e timore per il futuro può svilupparsi anche una maggiore insofferenza e intolleranza verso l’immigrazione. In Italia, ormai ad otto anni dall’avvio della crisi economica, le vulnerabilità risultano ancora evidenti. Secondo l’Istat i poveri in termini assoluti sono oltre 4,5 milioni, il numero più alto dal 2005. Le situazioni più difficili sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno, dai nuclei di stranieri, da quelli in cui il capofamiglia è in cerca di un’occupazione o è operaio, dalle nuove generazioni. Un elemento inedito, che stravolge il vecchio modello di povertà italiano, è che oggi la deprivazione sembra essere inversamente proporzionale all’età, tende cioè ad aumentare al diminuire di quest’ultima. Le ricadute di tali tendenze possono essere pesantissime, sull’oggi e ancor più sul domani; giovani generazioni che rischiano di entrare in un circolo vizioso di disagio da cui sarà difficile affrancarsi, alla luce degli alti tassi di disoccupazione registrati. Anche le famiglie con minori risultano ancora ampiamente svantaggiate e proprio rispetto a tali situazioni si accendono nuove speranze legate alla nuova misura di contrasto alla povertà – denominata Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) – promossa dal Governo e avviata a settembre. Per la prima volta è stato introdotto un provvedimento che supera la logica delle sperimentazioni e degli interventi una tantum, indirizzato alle famiglie in difficoltà che beneficeranno di risorse economiche e reti di sostegno per costruire percorsi di attivazione sociale e lavorativa. Si inaugura dunque una stagione complessa, che sarà sicuramente segnata da difficoltà, ma di cui si deve cogliere la dimensione di opportunità, per un deciso passo in avanti del nostro sistema di protezione sociale ancora debole e incompleto, che ha retto con difficoltà all’urto della crisi economica.
Povertà autoctone, dunque, che si intrecciano frequentemente con quelle di chi, fuggito da contesti difficili, si trova a transitare o permanere nel nostro paese in cerca di un futuro; situazioni nelle quali il confine tra il “nazionale e l’internazionale” tende sempre più a sfumarsi. Le sfide che si aprono per i governi a livello nazionale ed europeo sono dunque numerose, vanno dalla solidarietà e accoglienza all’integrazione e dialogo, da promuovere non solo nei luoghi di maggior presenza degli stranieri ma anche nei piccoli contesti nei quali non si è avuta ancora l’opportunità di interagire con le differenze. Sfide a cui le Caritas diocesane stanno rispondendo attraverso diverse iniziative, prime tra tutte l’attività di ascolto svolto in modo capillare dagli oltre tremila CdA distribuiti sul territorio nazionale. Seguono le tante e diversificate forme di accoglienza e di prossimità attivate anche mediante il circuito parrocchiale o familiare, il sostegno sul fronte dello sfruttamento lavorativo, le tante progettualità di formazione, le azioni di advocacy tese a sensibilizzare, informare e, al tempo stesso, a facilitare processi di inclusione. L’unica strada da percorrere, infatti, in questo tempo complesso, nel quale appare concreto il rischio di nuovi nazionalismi e nel quale lo stesso futuro dell’Unione Europea sembra incerto, è proprio quella di favorire occasioni di incontro, scambio e dialogo (Bauman 2016). Per farlo l’Europa deve trovare uno slancio nuovo, dimostrando ancora una volta la capacità di “risorgere dalle proprie sconfitte” (Spinelli, 1986). Il prossimo 25 marzo ricorreranno i 60 anni della firma dei Trattati di Roma, tappa fondamentale del processo di integrazione europea. Tale evento sia un’occasione per ripensare l’intero progetto dell’Unione, richiamando il pensiero dei suoi visionari padri fondatori, i primi a credere in una prospettiva di pace e solidarietà. Siano di esortazione anche le parole di Papa Francesco pronunciate in chiusura del già citato discorso proclamato di fronte ai vertici dell’UE, nel quale ci riconosciamo: “(…) Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia” (Discorso del Santo Padre, Conferimento Premio Carlo Magno, Roma 6 Maggio 2016).