Ieri, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, sono state molte le iniziative promosse in tutto il mondo per sensibilizzare e denunciare qualcosa che ha smesso i panni del fenomeno per vestire quelli di autentica piaga della quale non ci si può ricordare solo in occasione di ricorrenze dedicate, la violenza sulle donne non viene decisa dai calendari.
Per capire quanto l’umanità sia al tracollo su questo argomento è inevitabile ricordare che ci si trova di fronte a un comportamento che non dipende da stili di vita o culture, da ricchezza o povertà e, soprattutto, che la violenza si esprime in moltissime forme.
L’Oms parla di “problema di salute di proporzioni globali enormi” e i numeri, nella loro crudezza, danno ragione all’Organizzazione mondiale della sanità che, attraverso il suo ultimo rapporto, ci informa come nel mondo 1 donna su 3 sia vittima di violenza. La forma più comune è quella domestica: il 30% delle donne impegnate in un rapporto di coppia ha subito, da parte del partner, una sopraffazione fisica o sessuale o entrambe. Se ci riferiamo a un livello globale e parliamo di femminicidio, il 38% avviene per mano del compagno.
Se è vero che in Europa la situazione sembra andare meglio rispetto ad altri continenti c’è comunque poco per cui stare allegri: infatti le donne vittime di abusi fisici e sessuali sono 25 su 100. Ma sarebbe alquanto limitante non includere nel ventaglio dei reati di genere le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni tra uomini e bambine, azioni condannate dalla Convenzione di Istanbul, ratificata da tanti Paesi che poi però non la combattono.
Inoltre, di fronte all’attuale emergenza rappresentata dai flussi migratori, è da evidenziare come gli spostamenti delle donne da un Paese all’altro forniscano a certi figuri l’occasione di prendere a pugni, stuprare, tormentare, donne in cerca di salvezza. Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) ci ha spiegato come attualmente sia in atto il più alto numero di spostamenti di persone dalla Seconda guerra mondiale: solo nel 2015 sono state 26 milioni le donne adolescenti o comunque comprese nella fase dell’età riproduttiva costrette a lasciare il proprio Paese. Impossibile, su questo punto, fornire dati relativi a sopraffazioni. Vige una sorta di patto del silenzio, le vittime tacciono, sopportano, e gli aguzzini lo sanno.
Per quel che riguarda il nostro Paese, proprio oggi, in occasione della manifestazione nazionale contro la violenza che si terrà a Roma, la rete Non una di meno parlerà di una donna uccisa ogni tre giorni spiegando però la difficoltà rappresentata dalla raccolta dati su cui si era già pronunciata: «Non sappiamo cosa succeda veramente, non abbiamo dati dei pronto soccorso, non abbiamo dati completi dalle forze dell’ordine, non abbiamo dati sui processi e sulle condanne, non abbiamo dati dai servizi territoriali, dalle assistenti sociali dei comuni, non abbiamo dati di quanto le/gli insegnanti vedono a scuola, abbiamo solo i dati (neanche tutti) dei centri antiviolenza e due ricerche Istat in 15 anni». Più prima che poi bisognerà tener conto di questo.
A livello globale, e riprendendo il numero 5 dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che vuole «realizzare la parità di genere e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze», si chiede di combattere fenomeni che anni fa non erano neppure menzionati dai precedenti obiettivi di sviluppo per il millennio, e questo è un passo. Per cui entrano in ballo inevitabilmente questioni come violenza e discriminazione di genere, contrasto contro le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni precoci e forzati, una più ampia adesione da parte delle donne alla vita politica, sociale ed economica dei Paesi nel mondo.