Il testo propone una rielaborazione di alcune tesi presentate nel saggio dal titolo L’impresa nuova. Note a margine di un dibattito, pubblicato su “Il Ponte” n. 5, 2004, pp. 104-121
Affrontando il tema della responsabilità sociale delle imprese si ha la sensazione di cimentarsi con una questione al tempo stesso recentissima e assai antica. Di certo l’esigenza diffusa di misurarsi in modo esplicito con la dimensione etica dell’economia, nel management come nella stessa opinione pubblica, è acquisizione di questi ultimi anni. Ma il ricercatore, l’osservatore attento, studiando una dimensione profonda dell’uomo e delle forme organizzative – l’etica – avverte l’esigenza di guardare indietro, di cercare nella memoria pensieri ed episodi nei quali trovare tracce, segnali di una riflessione sottratta all’urgenza del dibattito odierno. Ha certamente ragione l’economista Stefano Zamagni quando sostiene che la responsabilità sociale delle imprese non è argomento nuovo nelle moderne economie di mercato. Anzi, da sempre, “si sa che l’impresa ha obblighi di natura morale oltre che legale nei confronti della società in cui è inserita e opera. Non è dunque corretto affermare che il tema della Rsi costituisce una res nova di questa nostra fase storica” [simple_tooltip content=’S. Zamagni, La responsabilità sociale dell’impresa: presupposti etici e ragioni economiche, “Il Ponte”, nn. 10-12, 2003, p. 243′](Nota)[/simple_tooltip]. Facendo propria tale affermazione, la vicenda di Walter Rathenau sembra costituire un utile riferimento con cui misurarsi. Non è certo questa la sede per una riflessione compiuta neppure su uno solo degli aspetti della ricchissima esperienza di Rathenau. Dirigente prima e presidente poi dell’Allgemeine Elektrizitaets Gesellschaft (Aeg); Ministro della Ricostruzione e Ministro degli Esteri fra il 1921 e il 1922; studioso di filosofia e teorico politico, Rathenau, da protagonista, fornisce una chiave di lettura, e al tempo stesso una personalissima interpretazione, di quella stagione in cui “fra la fine dell’Ottocento ed i primi venti anni del secolo nuovo il capitalismo raggiunge il grado più alto (compatibile con il livello di sviluppo generale) della organizzazione produttiva industriale e, insieme, dell’elaborazione teorica e della ricerca scientifica e tecnica”[simple_tooltip content=’L. Villari, Introduzione in W. Rathenau, L’economia nuova, Torino Einaudi 1976, p. VII’](Nota)[/simple_tooltip]. In questa occasione, tuttavia, proviamo a seguire solo alcune suggestioni che provengono dalle lettura di qualche pagina sparsa dell’autore tedesco.
“L’economia viene praticata non per l’economia, ma per lo spirito. Gli ultimi valori che essa produce sono quelli più invisibili, e quelli più invisibili sono i più potenti. Non dall’economia si riforma l’economia, ma dallo spirito. Non le sono d’aiuto né provvedimenti, né leggi, ma princìpi. Il cammino conduce dai princìpi all’azione, dall’azione alla spiritualizzazione. Solo allora una nuova forma di economia è efficace e accettabile, giustificata ed utile, quando la nuova disposizione dello spirito le corrisponde. I provvedimenti sono facili da prendere. Si trovano pure le forze per realizzarli; tuttavia, però, solo quando la volontà dei princìpi riempie l’atmosfera e stimola la volontà. Le forze che ci dominavano erano egoismo ed anarchia; le forze di cui noi abbiamo bisogno sono responsabilità e senso di comunità” [simple_tooltip content=’W. Rathenau, Socializzazione interminabile. Una parola sul plusvalore, in M. Cacciari, W. Rathenau e il suo ambiente, Bari De Donato 1979, p. 107′](Nota)[/simple_tooltip]. Naturalmente, una lettura filologicamente corretta avrebbe bisogno di esaminare dettagliatamente il dibattito politico e culturale in cui si inserisce questo testo, i riferimenti filosofici e di pensiero dell’autore e molti altri aspetti. Ma in questo contesto preme riferirsi solo alla riflessione di Zamagni. E’ evidente, infatti, che la responsabilità sociale delle imprese non è res nova. Ma c’è molto di più. Tre questioni tra le altre, vale la pena sottolineare nel testo di Rathenau:
- L’economia non è autoreferenziale, non basta a se stessa, non ha in se stessa motivazione e legittimazione. L’economia viene praticata per lo spirito e produce valori ultimi invisibili. Si potrebbe discutere a lungo su cosa sia lo “spirito” ma è qui sufficiente evidenziare che l’economia rinvia a una sfera di significato generale e che, a sua volta, genera profondi valori immateriali.
- L’economia si riforma, si modifica grazie a un disegno di senso generale. Non siamo di fronte a un’impostazione dirigista. Non sono i provvedimenti e le leggi a modificare l’economia ma i princìpi. “Il cammino conduce dai principi all’azione, dall’azione alla spiritualizzazione”[simple_tooltip content=’Ibidem‘](Nota)[/simple_tooltip]. Parafrasando Rathenau, potremmo oggi dire che i valori guidano l’azione imprenditoriale generando responsabilità sociale. “Una nuova forma di economia è efficace e accettabile, giustificata e utile, quando la nuova disposizione dello spirito le corrisponde”[simple_tooltip content=’Ibidem‘](Nota)[/simple_tooltip]. L’efficacia rinvia agli obiettivi perseguiti, l’accettabilità al consenso, la giustificazione all’ambito delle motivazioni e l’utilità ai risultati conseguiti. Questi elementi devono corrispondere a un nuovo disegno di senso generale.
- Qual è il motore che attiva questo processo di riforma? Quali le forze che ci conducono a una nuova forma di economia? Per Rathenau, quelle che muovevano la vecchia economia erano egoismo e anarchia. Le nuove forze sono responsabilità e senso di comunità. L’assonanza terminologia è straordinaria. Nel testo del 1917 ritroviamo le medesime espressioni che caratterizzano l’intero dibattito odierno. E’ solo un caso? Potrebbe essere, trattandosi in fin dei conti di parole di uso comune. Ma è il senso complessivo dell’argomentazione che colpisce per la sua attualità. Certo, una lettura più profonda e attenta evidenzierebbe limiti, ambiguità e forse anche qualche contraddizione. Certamente porterebbe alla luce lo stretto legame fra alcune argomentazioni e la duplice e contemporanea polemica con il capitalismo conservatore e con il socialismo collettivista, oltre all’evidente condizionamento dell’economia di guerra. Ma quel che conta è altro. Nel secondo decennio del secolo scorso un grande industriale non solo comprende, ma rivendica il valore generale e la funzione sociale dell’economia e dell’impresa. La nuova economia viene dallo spirito, produce valori invisibili, è mossa dalla responsabilità e dal senso della comunità.
“L’ordinamento, a cui noi perverremo, sarà un ordinamento di economia privata, come l’attuale ma non di un’economia privata senza freni. Dovrà penetrarla una volontà collettiva, la stessa volontà che penetra oggi ogni opera umana solidale, ad eccezione appunto della sola produzione economica; dovrà penetrarla una moralità ed un senso della responsabilità, che oggi nobilita ogni servizio reso alla collettività” [simple_tooltip content=’W. Rathenau, L’economia nuova, Torino Einaudi 1976, p. 22′](Nota)[/simple_tooltip].
Un’economia privata deve essere penetrata da una volontà collettiva, dalla moralità e dal senso di responsabilità, come ogni opera umana solidale. Non è quindi in discussione la natura privata dell’economia; anzi, Rathenau polemizza con grande vigore verso ogni forma collettivista. Ciò che si discute è che l’economia, come ogni altra manifestazione dell’opera umana, debba rispondere a una volontà collettiva, a un disegno generale che ne valorizzi l’aspetto solidale, la moralità, il senso di responsabilità, assumendo così la nobiltà tipica di ogni servizio reso alla collettività. Come in altre circostanze le crisi, e le relative trasformazioni, generano novità, nuovi punti di vista che, se depurati dagli elementi contingenti, sono in grado di anticipare processi più generali, ovvero di porre a dimora semi “potenti”, che per molti anni rimarranno “invisibili”, per riapparire assai più tardi con grande forza.
Rathenau rappresenta uno di questi casi, indica un percorso di indagine, suggerisce di approfondire il pensiero e l’esperienza di alcuni grandi imprenditori che hanno saputo utilizzare, con acume e lungimiranza, i loro straordinari punti di osservazione, aiutandoci a comprendere come la responsabilità sociale sia in realtà res antiqua e come l’agire imprenditoriale sia in sé chiamato a corrispondere all’interesse generale, lasciandosi permeare dal senso della comunità.